Bianca Menna & In arte Tomaso Binga.
Adottando un nome maschile negli anni Settanta come gesto di protesta contro le disparità di genere, Binga ha costruito un percorso artistico radicale, che unisce scrittura, corpo e linguaggio.
È a partire dal 1972 che Binga comincia ad utilizzare la scrittura desemantizzata, derivante dall’esperienza della poesia concreta: una sorta di scrittura automatica atta a sovvertire le regole linguistiche, fino a promuovere una liberazione dal significato stesso delle parole, ottenuta tramite l’illeggibilità. In questo primo filone si inseriscono lavori come Polistiroli, Ritratti analogici e Scrittura desemantizzata (1972-1974). Già a partire da queste serie, l’artista sperimenta supporti diversi da quelli tradizionali, fino ad arrivare a opere come Carte da parato (1976), performance realizzata all’interno di una casa nei Parioli, e il celebre Alfabetiere murale (1976), in cui le lettere sono ricreate dal suo stesso corpo nudo in quella che verrà poi definita scrittura vivente. L’Alfabetiere, una delle sue opere più conosciute e nota anche al grande pubblico, fu realizzato a Firenze con l’aiuto della fotografa Verita Monselles.
Il suo lavoro, intriso di femminismo e ironia, si muove tra performance, poesia concreta, installazioni e sperimentazioni visive. Negli anni ha preso parte a rassegne fondamentali come la Biennale di Venezia del 1978 con Materializzazione del linguaggio e, più recentemente, ha visto una crescente attenzione critica e internazionale, con mostre in musei e gallerie di rilievo.
Fondatrice del centro culturale Lavatoio Contumaciale a Roma e vicepresidente della Fondazione Filiberto Menna, Tomaso Binga continua a essere un punto di riferimento per l’arte contemporanea e per le nuove generazioni, con opere che interrogano il linguaggio e l’identità, aprendo spazi di libertà e trasformazione.